La terra trema ancora; sotto le tende montate dalla protezione civile fa un po’ meno paura, però quando e chi ricostruirà? E soprattutto, sta volta quelli che hanno edificato le case di “marzapane” finiranno in prigione o no?
Tutto quello di cui gli italiani non hanno bisogno, sono vent’anni di processi seguiti da un “tutti assolti”, non davvero questo no!
In questo momento è davvero molto generoso il gesto di Fedez, J-Ax e l’Amoroso che devolveranno i ricavi di una parte dei proventi di alcuni brani per la ricostruzione e sarà una ricostruzione mirata, riguardante un asilo e l’ospedale di Amatrice. Non possiamo che ringraziarli, ma è tempo che i privati cittadini, quelli abituati da sempre ad arrangiarsi, non debbano ancora sostituirsi allo “Stato” o aspettare la beneficenza.
Quegli edifici li avevamo già pagati con le tasse e poi tra le macerie ridotte a farina di riso, e anche il più scalcagnato dei geometri, esperto di castelli di sabbia, noterebbe a occhio nudo materiale friabile. Quindi molti edifici erano stati costruiti male o comunque ristrutturati peggio. 290 persone sono morte, forse anche perché si è tollerato l’abusivismo edilizio, e si è usato molto materiale scadente e attendo solo di essere smentita. Tremano i polsi al pensiero che se il terremoto avesse scosso Amatrice una mattina appena dopo l’apertura delle scuole, da quell’ammasso di macerie in cui ora è ridotta la scuola del paese, avrebbero estratto non so quanti bambini innocenti, ed è già accaduto.
Le tasse le paghiamo anche per ricostruire gli edifici tirati su come quelle dei tre porcellini, con la sabbia e il fil di ferro, per cui io voglio chiarezza e giustizia veloce e non voglio dovermi sempre arrangiare con il volontariato perché lo Stato è friabile come certi muri di argilla.
Non voglio che sia sempre necessario fare delle collette, raccolte di fondi, concerti di beneficenza e che debba essere il generoso nonché giovane Fedez a doverci pensare, perché per coloro i quali pagano regolarmente le tasse, tutto ciò è umiliante.
Perché dovrei aspettare che un qualunque theleton mi regali dei soldi, se io ho già pagato per un ospedale solido?
L’ospedale dell’Aquila deve ancora essere completato, e ad Amatrice tra poco farà freddo, quindi deve essere ricostruita nonostante chi ha usato acqua e farina per il calcestruzzo e presto. Si cercano le carte tra le macerie per indagare e già questo è deprimente.
Insomma, il destino del tetto della scuola in cui vanno i nostri figli, le palestre o il controsoffitto che cadendo ha lasciato un ragazzo su una carrozzina, deve dipendere da come lo Stato utilizza i nostri soldi e le tasse che paghiamo, che sono tante, tra le più alte d’Europa, e non può dipendere da quanti dischi venderà Fedez o da una “partita del cuore” o da una maratona televisiva.
Lo Stato dovrebbe avere dignità e usare i fondi extra, quelli che la gente elargisce generosa per qualcosa di bello come un teatro, un parco giochi, una ludoteca, o una piscina, ma scuole e ospedali dobbiamo tirarle su noi ed essere sicuri che siano solidi.
Un po’ troppo frettolosamente definita divina, la cara vecchietta attorniata da bestiole e chiusa da quarant’anni nella sua villa di Sant. Tropez, ad un’analisi più attenta, tanto meravigliosa non sembra affatto. Non stupisce per nulla che il rapporto tra la famosa ex attrice francese e Nicolas il suo unico figlio rifiutato ancor prima di nascere è complicato, anzi quasi inesistente. BB in fondo non si nasconde, non ha mai voluto essere una madre e l’ha sempre detto. Non si sentiva matura e a quanto pare non lo è ancora a ottant’anni.
Il rifiutato figlio, che vive da molto tempo ormai nel nord Europa, in Norvegia in semi anonimato, ha tentato di bloccare l’autobiografia della donna che lo ha faticosamente partorito, ma senza esito. Ha dovuto infine accettare che la vegliarda madre lo definisse “un tumore”. In particolare nel raccontarsi la Bardot parla di “culo grosso” durante la gravidanza , che ricorda come un incubo, e da quell’incubo è nato un bambino del tutto indesiderato. Scrive di essersi messa addosso una bottiglia di acqua calda, e che avrebbe preferito la “ nascita di un cagnolino .”
Parla ancora di “Nove mesi di terribili” fin dai primi giorni, durante i quali prendeva la morfina per dimenticare quello che definiva “ questo tumore” presente nella sua pancia che era paragonata al “coperchio di una bara”.
Poi arriva il momento delicato della nascita, un parto difficilissimo e il bimbo subito affidato ad una balia e mai coccolato e amato.
“Ho avuto un figlio che non ha provocato in me un terribile sviluppo dell’istinto materno”!
Nonostante il tempo, i rapporti tra madre e figlio non sono mai migliorati, l’affetto non è mai decollato, tanto che Brigitte Bardot non è stata invitata nemmeno al matrimonio di Nicholas, e ha pochissimi contatti con lui.
All’alba degli 80 anni, BB non sa cosa significhi né essere madre, né tanto meno essere nonna, poiché non conosce i nipoti, non li ha mai visti.
“Io non sono un buon nonna. Vivono in Norvegia con il padre Nicolas Charrier, non parlano francese, e non hanno l’opportunità di vedermi. Perché barare?Sai, ho sempre detto quello che ho pensato e ripensato ed è quello che ho detto. Non ho mai creduto i legami di sangue, ma le cose potrebbero cambiare nei prossimi mesi”
In realtà l’attrice francese che ha appeso la professione al chiodo nel ’73 non ha mai dimostrato una grande filantropia, sembra non amare affatto la “razza umana”, mentre è sempre stata del tutto votata agli animali.
Più volte ha detto senza pudore che se muore un essere umano non le importa niente, non le interessa affatto, poiché lei ama solo e soltanto le specie animali e lo ha ampiamente dimostrato a quanto pare con le sue battaglie animaliste, che però sono del tutto svilite del loro valore con una premessa simile. Non è accettabile ignorare i bisogni dei bambini anteponendoli per quelli degli animali.
Non ha avuto remore di scrivere cose che hanno ferito suo figlio, non ha rinunciato a far uscire la sua autobiografia e il fatto che Nicholas sia andato a vivere così lontano da lei non è davvero un caso.
Dunque ha veramente senso continuare a idolatrare una donna simile?
Nelle ultime 24 ore circa, il pattugliatore Cigala Fulgosi e la fregata Grecale della Marina Militare, hanno portato a termine almeno cinque interventi di soccorso nel Mediterraneo meridionale traendo in salvo 561 migranti, eppure c’è qualcosa che non torna in queste notizie date così, come caramelle. Perché gli italiani vanno a “pendere” i clandestini appena s’imbarcano? Semplice, appena partono lanciano l’S.O.S.
La marina militare a quanto pare non trae in salvo poveri mendicanti, profughi, anziani, malati, ma giovani uomini di sana e robusta costituzione che non fuggono dalle guerre, ma tentano semplicemente di raggiungere un paese, il nostro, su cui hanno precise e utili informazioni. Attraverso i social, parenti già approdati da noi con cui sono in comunicazione con il famigerato e tanto desiderato wi-fi, sanno che saranno ripescati facilmente, sfamati e ben alloggiati, quindi perché non partire?
Perché partono donne incinte? Semplice, sanno che qualcuno si prenderà cura dei loro figli e fino ai diciotto anni nessuno li caccerà. E le giovani donne italiane che non possono fare figli perché lo stato non le aiuta? A quelle chi ci pensa? Il governo del Senegal?
Siamo nell’ordine delle migliaia di uomini, tanti, troppi che non solo non hanno diritto, ma vanno a creare tensione fra cittadini che sono esausti. Moltissimi arrivano da paesi poveri, è vero, ma come possiamo pensare di investire così tante risorse verso chi è clandestino, quando il nostro paese è a pezzi sotto così tanti punti di vista? Come possiamo curare questa gente se i nostri ospedali non riescono a smaltire il lavoro già ordinario. Abbiamo anziani ridotti alla fame, ponti che crollano, strade ridotte a buchi, emergenze di ogni tipo e invece di utilizzare le risorse per chi ha costruito e difeso questo paese, le usiamo per chi è clandestino?
Sono ben pochi coloro che fuggono dalla guerra e tanti come è stato dimostrato usano il nostro paese come base per altri scopi poco leciti.
Talvolta vengono fermati degli scafisti, ben presto rimpiazzati.
Il flusso di clandestini che dalla Libia giunge in Italia nell’ultimo periodo ha avuto un incremento, gli sbarchi si sono verificati quasi ogni giorno e le strutture sono ormai al collasso, e noi cosa facciamo? Andiamo a prenderli sulle coste libiche, ha un senso tutto questo? E i paesi ricchi dell’Africa perché non fanno sentire la loro voce?
Le strutture in Italia sono ormai satolle, e la mancata collaborazione di alcune regioni e delle altre Nazioni europee non favorisce la distribuzione degli immigrati sul territorio ed è una beffa.
L’arrivo di nuovi sbarchi a rullo continuo fa storcere il naso a molti italiani per via delle strutture di contenimento che sono a pezzi e loro stessi si ribellano ciclicamente, spesso si rifiutano di declinare le generalità, o di stare in alberghi che non li aggrada. Non vogliono stare in luoghi promiscui, e hanno da ridire sul cibo e sempre sul wi-fi.
L’onda rischia di travolgerci, e la ormai esigua rete dei centri d’accoglienza non reggerà a lungo. Servono caserme e tendopoli e un solido piano nazionale anticrisi, ma basterà? Al Viminale gira un numero che fa paura: 270mila uomini, poche donne. Tanti potrebbero essere i migranti pronti ad approdare sulle coste italiane nel 2016 in tutto e il governo non sa escogitare il modo di fermarli. I primi mesi dell’anno segnano già un record: 80% di arrivi in più rispetto al 2015. Ebbene, Mattarella che dovrebbe vegliare su di noi perché non fa sentire la sua voce? Perché non convoca Renzi? Perché infine non si decide a sciogliere le camere di un governo che non ha più ragion d’essere?
Fin da piccole, le donne si educano all’amore da sole, all’amore per un uomo, per un figlio, verso le amiche, e tutto quel collante d’affetti che ci sta attorno è semplicemente il nostro micro cosmo che coltiviamo e difendiamo con una forza che spesso non sappiamo nemmeno d’avere e che talvolta non riusciamo a contenere nell’epoca dei rapporti 2.0. ci educhiamo a tenere assieme il nostro e lo facciamo con le armi che abbiamo. Organizzando la nostra vita, trangugiando caffè o un white lady, senza aver paura di prendere una sbronza, senza pudore, che il pudore non c’è più, ci intralcia come una calza smagliata. Ci rialziamo dopo ogni caduta, una sistemata al reggiseno, una al tanga e via, di nuovo in pista, per sesso o per amore
Questo Bar per molti può essere e forse è solo un locale anonimo e male arredato, tuttavia io amo definirlo il “nostro Bar”, quello delle mie amiche, delle donne, il cerchio magico, e non perché sia frequentato solo da un nugolo di papere che ordina the in inverno e aperitivi analcolici in estate, e non è nemmeno elegante o di tendenza. Per una serie di motivi, questo è il luogo dove molte di noi si ritrovano o dove finalmente approdano dopo un fallimento, o dopo essersi soffiate il naso dopo un lungo pianto, dove passa un pezzo della nostra vita, da dove si vedono i figli giocare, i compagni e i mariti, passare e fermarsi per una birra; da qui si vede la vita del paese scorrere, ed è un pezzo della nostra identità. Tutti in paese si scelgono un locale come punto di riferimento, e noi da ragazzine decidemmo che non avrebbe potuto che essere questo il nostro Bar, e da allora gravitiamo ancora qui attorno.
Ogni giorno, un sabato dopo l’altro, una stagione dopo l’altra, s’intrecciano le nostre vite, e le nostre lacrime hanno lavato questi cazzo di tavoli di medio valore vecchi e graffiati, anzi di valore medio basso, perché l’arredamento è sempre lo stesso da almeno vent’anni, ma le tovagliette, quelle sì, quelle sono carine, le abbiamo scelte sul catalogo con Laura, la proprietaria.
Abbiamo deciso qui buona parte dell’organizzazione del matrimonio di Manola, molti compleanni, le gite fuori, e abbiamo anche cercato di trovare una soluzione per ogni problema. Qualche volta ci siamo riuscite, o comunque c’abbiamo messo una sempre pezza. Abbiamo aiutato l’amica di turno che non sapeva a chi lasciare i bambini, e come quadri bloccati, cristallizzati nel tempo, vediamo tante vite che ci scorrono davanti. Quella di Luca, che combatte con una moglie alcolizzata e un bambino da tirare su, della farmacista nerd Francesca Mastrodomenico e molte altri. Risate e lacrime in questo palcoscenico che è la vita, con qualche marito che ti tradisce, una mamma anziana d’accudire e un’amica che ti fa da gancio per un amante, e meno male che c’è.
Il locale è centrale, su una via di passaggio obbligato, e alla fine tutto il paese passa di qui, e lascia sempre qualcosa, anche se non lo sa; uno strascico, un motivo per farci parlare, forse è sbagliato, ma è così che succede al paese.