Ne avevamo già consapevolezza da secoli ma oggi, sembra che fior di ricerche scientifiche accurate ci confermano e sottoscrivono che il mare fa bene al cervello e rende felici.
Un recente studio condotto in dieci anni di ricerca accurata e dettagliata, dimostra come l’acqua, elemento primario, rilasci sostanze chimiche collegate alla felicità. Pertanto, quel senso di benessere che sentiamo in riva al mare, al lago mentre peschiamo, o in prossimità di un ruscello, oggi è certificato dalla scienza.
Stare vicino l’acqua stimola il cervello e fa sprigionare in noi sostanze altamente benefiche come la dopamina, la serotonina e l’ossitocina. Il benessere dello iodio è qualcosa di acquisito da molto tempo, infatti, sono note le malattie come il gozzo, tipiche di persone che vivono in zone dell’entroterra e quindi lontane dal mare. L’idroterapia, la pet teraphy con i delfini, la ginnastica in acqua sia per la riabilitazione dopo un infortunio o anche solo per rimettersi in forma, sono attività consolidate del cui beneficio si cantano spesso le lodi.
Tali conferme sono riportate sul sito ericazuanon.com che cita il libro di Wallace J. Nichols ‘Blue Mind: The Surprising Science That Shows How Being Near, In , On, Or Under Water Can Make You Happier, Healthier, More Connected, And Better At What You Do’.
Insomma, la scienza dimostra come stare vicino, sopra, dentro o sotto l’acqua possa renderci più felici, più sani, più connessi con il cosmo circostante e si trovano grandi miglioramenti anche per chi soffre di malinconia e depressione. Fare corsi di nuoto, di sub e dedicarsi all’esplorazione sottomarina a contatto con le creature del mare, sono delle altre attività da cui innegabilmente si traggono grandissimi benefici.
L’acqua e quindi soprattutto il mare, così come i laghi o i fiumi, portano al cervello almeno cinque benefici basici e fondamentali per la felicità e il benessere dell’individuo. Il colore blu dona sollievo, infatti, è stato chiesto a 232 persone in tutto il mondo di indicare il proprio colore preferito e a maggioranza è risultato essere il blu.
Secondo uno studio, per calmare i nervi e nutrire il subconscio, basta anche solo osservare un paesaggio marittimo, poiché guardare immagini della natura fa attivare le parti del nostro cervello associate a un atteggiamento positivo nei confronti della vita, influisce alla stabilità emotiva e al recupero di ricordi felici.
Sembra anche che l’acqua riesca a ringiovanire le menti stanche.
In uno studio del 1995 pubblicato su Environmental Psychology sono stati analizzati il rendimento e la concentrazione di due gruppi di studenti: a uno erano state assegnate stanze con vista più paesaggistica (alberi, laghi, prati) e all’altro erano state date stanze su vedute più urbane.
Il primo gruppo non solo ha dato risultati più brillanti, ma ha dimostrato anche una maggiore capacità d’attenzione. Sapevamo già che stare all’aria aperta fa bene, ma ora sappiamo anche che si è più felici stando in prossimità di un corso d’acqua, che dopotutto ci riporta
Simona Aiuti
al nostro stato naturale.
Noi siamo connessi all’acqua fin dal principio della nostra vita, e poi il corpo è mediamente composto per il 75% da acqua e il mantenimento della quantità adeguata d’idratazione è basilare per il corretto funzionamento dei nostri organi.
Il Cipressino d’oro 2016 ha premiato la città di Venezia, infatti, il primo premio è stato assegnato a Valentina Olivi.
Emozionante la Cerimonia di Premiazione per la quarta edizione del Pemio Nazionale di Poesia “CIPRESSINO D’ORO -BONESINI FOR KIWANIS” di Follonica.
Numerosi, tanti, un successo, c’erano davvero tutti alla festa di premiazione del premio letterario “Cipressino d’Oro 2016 – Gian Paolo Bonesini for Kiwanis”, sabato 07 Maggio nella sala Tirreno di Follonica (GR), in Via Bicocchi.
Era presente il Governatore del Kiwanis International – Distretto Italia/San Marino, Antonio Maniscalco, arrivato direttamente da Palermo, che ha voluto essere presente all’evento mondano conclusivo, accompagnato dal neo Governatore che entrerà in carica il prossimo anno, Valchiria Do, arrivata dalla città Perugia con entusiasmo per nuove pagine del prestigioso premio.
Dunque, oltre alle massime autorità kiwaniane, erano presenti all’evento altre importanti cariche del Club, dal Sindaco di Follonica Andrea Benini, all’Assessore alla Cultura Barbara Catalani, insieme ai moltissimi poeti intervenuti da tutta Italia per ricevere i premi assegnati dalla giuria composta da Miria Magnolfi, Dianora Tinti e Gordiano Lupi.
Gli organizzatori del Premio, in testa il curatore Loriano Lotti, hanno avuto un compito arduo quest’anno visto che sono arrivati moltissimi componimenti da tutta Italia: un successo senza precedenti che dimostra la crescita dell’iniziativa che sta diventando velocemente un punto di riferimento per gli appassionati di letteratura a livello nazionale, toccando tematiche sociali che sensibilizzano l’opinione pubblica con un “battage” che ha fatto da volano attraverso tutti i più importanti mezzi di comunicazione.
Il tema della quarta edizione era quanto mai toccante e attuale: “Bambini in cammino”, piccoli costretti a fuggire dalla loro terra a causa delle guerre in cerca di una nuova patria che possa diventare casa.
Il primo premio è andato a Valentina Olivi, di Venezia, autrice di grande talento, che ha ritirato la scultura di Gian Paolo Bonesini tra gli applausi del pubblico che aveva appena ascoltato la sua poesia, “Seduta su una stella”, dalla voce di Miria Magnolfi.
“Il linguaggio poetico esemplare – ha detto la giuria, motivando la scelta – si dipana nel racconto in prima persona della protagonista, quella bambina che richiama a sé il diritto di essere piena di speranze e di sogni da realizzare, che invece si trova di fronte alla dura realtà della paura, della fuga, dell’ultimo respiro.
La poesia di Valentina Olivi dà voce alla tragedia dei bambini migranti attraverso le vicende vissute da una di loro, con semplicità disarmante e allo stesso tempo straziante”. Versi che hanno colpito tutti per la profondità e per la drammatica realtà che hanno raccontato.
Il popolo italiano dimostra di non essere affatto insensibile al fenomeno dei profughi che fuggono dalla guerra, che ahimè trovano muri alti a causa del dramma del terrorismo internazionale, che s’infiltra subdolamente nascondendosi tra gli innocenti.
Al secondo posto si è classificata Maria Francesca Mosca da Biella con “Bianco Petalo”, al terzo posto “Il più bello dei sorrisi” di Enio Vallati di Sesto Fiorentino; al quarto posto Rosanna Spina di Venturina con “La bambina con la gonna a corolla” e al quinto posto Valeria D’Amico di Foggia con “Alba di luce”.
Molti altri riconoscimenti sono stati assegnati, delle pitture di Gian Paolo Bonesini, sono stati consegnati ai poeti fino al 35° posto, poiché moltissimi autori, scrittori e poeti hanno “mosso la penna” ispirati da questa toccante e importantissima tematica.
Un premio speciale è andato al piccolo Lorenzo Pazzini di Follonica: è il poeta più giovane ad aver partecipato al concorso, che dà speranza al futuro della poesia italiana. Il premio Cipressino d’oro non si ferma, dà così l’arrivederci alla prossima edizione, forte di un successo e di un riconoscimento ormai consolidati, e l’organizzazione già pensa a domani.
Si sa che l’Italia è terra di creatività, se però questa nostra endemica fantasia si manifesta in video “pecorecci”, piuttosto che in studi mirati per scoprire la cura per il cancro, forse c’è qualcosa che non va, e non è poco. Da qualche anno dal Sud del nostro paese vediamo arrivare video di ragazzine appena maggiorenni in pose sexy, abbigliate come se fossero appena uscite da un veglione di terz’ordine di una balera di periferia, e catapultate direttamente su un binario morto, o in paesaggi naturalistici vari e con un tacco dodici. Il tutto costa almeno qualche migliaio di euro, cifra che può addirittura salire fino a diecimila.
Si tratta dei famigerati “Prediciottesimi”, filmati amatoriali e talvolta realizzati da semi professionisti, con tanto di regia. I protagonisti sono ragazze (ma anche ragazzi) che festeggiano la maggiore età, ma a dire il vero hanno l’aria non avere alcuna consapevolezza di chi siano davvero e di cosa stiano facendo.
Dunque, questi ragazzi non sperano in un viaggio all’estero, magari per un progetto Erasmus, e neanche pensano di mettere via la cifra per l’università, per un master e forse per via della giovane età qualcosa gli si perdona. Il problema è che dietro ci sono sempre dei genitori evidentemente scriteriati, con la capacità intellettiva del lombrico durante un attacco di dissenteria, poiché spendono e scialano senza battere ciglio per dare alla figlia, talvolta tracagnotta e disinvolta come una foca dentro una vasca da bagno, l’idea di essere una diva di provincia.
Parliamo di un fenomeno che riguarda quasi esclusivamente il Sud Italia e i video caricati su Youtube raggiungono anche le 500mila visualizzazioni: acciderboli!
Il fenomeno trash ha avuto velocemente un tale successo, che ora questi video sono realizzati da film maker professionisti in location suggestive; ma diciamocelo pure, le protagoniste non sono sempre all’altezza, e il risultato diventa comico, anzi grottesco. A volte capita che le ragazze siano un po’ corpulente, inguainate in tubini che le strizzano inguainandole, e secondo me inguaiandole agli occhi dei più!
Mostrano sicuramente un certo esibizionismo, vogliono essere principesse per un giorno, e i genitori pagano almeno 2000 euro per far felici le loro figliole, questi virgulti con trucco pesante e andatura elefantiaca che avanzano beote davanti all’obiettivo come se non ci fosse un domani. Al di là dei risultati non sempre eccezionali, per chi li realizza è diventato un vero business e forse c’è poco da stupirsi.
Qualche ragazzo si è addirittura calato nei panni di un mafioso che uccide un antagonista. Per la scena è stata usata una pistola vera ma caricata a salve, e questo chissà perché non ci rassicura. In un altro video, una ragazza viene fatta apparire con il mitra e pantaloncini perché pare sia molto sexy, forse è anche inopportuno però.
Se il massimo dell’aspirazione di un diciottenne del Sud è quello d’essere star per un giorno, e durante le sporadiche interviste si evince un eloquio povero, un linguaggio misero, e s’intuisce pure un grado d’istruzione esiguo, ci sono ben poche speranze per un futuro intellettualmente autonomo, o che costoro riescano a sviluppare un autentico senso critico.
Tenendo conto che accanto al fenomeno del prediciottesimo si sta facendo largo velocemente la moda del film prematrimonio che non si discosta molto dal genere, a parte l’età dei protagonisti che è di poco superiore, direi che il tutto è francamente disgustoso.
Il grado culturale basso e il congiuntivo latitante si sposano con l’analfabetismo disfunzionale e quello di ritorno che si stanno facendo largo nel nostro paese. Troppi italiani, presi da cose effimere, non leggono affatto, non sanno decifrare un documento, interpretarlo o compilare un modulo o un questionario; quindi quando questi diciottenni andranno a votare, in chi riporranno la loro fiducia, se si presentano totalmente sprovveduti?
Fare shopping, navigare su Facebook e ciondolare cercando un piccolo lavoro per avere soldi da sciupare in facezie dove porterà queste generazioni? E cosa potranno offrire al Paese queste persone? Davvero i genitori di questi ragazzi preferiscono bruciare denaro in inutili video, piuttosto che in libri, scuole e Università? Rifletti popolo!
Nel giugno del 2014 dopo anni d’indicibili abusi, la piccola Fortuna Loffredo detta Chicca, lanciata da un balcone del palazzo in cui abitava, viveva in una realtà degradata, lei come non solo tutti i suoi coetanei, ma l’intero tessuto sociale paludoso in cui era immersa e che l’ha risucchiata. Parliamo di un micro cosmo che ancora annaspa ovattato, melmoso, anestetizzato in un territorio dove la dignità sembra essersi dissolta tra spacciatori e coca. Laggiù, in un mondo violento e omertoso, sembra che di umano non sia rimasto quasi più nulla, al punto che le persone, di generazione in generazione si sono abbruttite in un contesto di cui sono parte viva, e la percezione del male è differente da altri luoghi, perché è la norma.
Ad avvalorare questa tesi, è stato il lento rifiorire di alcuni piccoli, che lontano da quel mondo, con amore e le giuste attenzioni, non solo stanno acquisendo serenità, ma hanno anche fatto qualcosa che nessun adulto (troppo contaminato) avrebbe mai fatto, ovvero stanno collaborando con la giustizia, confessando quella verità che altrimenti sarebbe rimasta celata per sempre forse.
Grazie a loro, ci sarà la riesumazione di un altro bambino, il piccolo Antonio Giglio, di tre anni, anche lui morto in circostanze misteriose in quel palazzone del Parco Verde di Caivano, ma del tutto simili a quelle che hanno riguardato la piccola Chicca.
Grazie alle indagini, alle difficili intercettazioni e alle testimonianze dei minori abusati e testimoni, è stato arrestato il compagno della vicina di casa che aveva negato tutto; Raimondo Caputo. Già, lei la vicina, arrestata anche lei, accusata di essere consapevole, connivente, d’aver coperto e mentito ad oltranza, spingendo anche la figlioletta a farlo. Sono gravissime le accuse a carico della coppia e molti altri indagati sono sotto il mirino, tuttavia solo un regolare processo potrà accertarlo del tutto e dare infine con una giusta sentenza, e pace alla memoria dei bimbi cui è stata spezzata la vita.
Antonio Giglio di soli tre anni, figlio di Marianna Fabozzi, compagna di Raimondo Caputo pluri pregiudicato, era il fratellino di Doriana, l’amichetta del cuore di Fortuna, la piccola che lontana da quel mondo malato, ha collaborato e ha detto la verità.
Antonio fu trovato morto, caduto al suolo da una finestra dell’abitazione della nonna, madre di Marianna Fabozzi, al settimo piano dello stesso edificio nel quale vive anche la famiglia di Fortuna, e come lei senza una scarpina.
Forse siamo solo alle prime battute di un romanzo criminale senza pudore e intriso d’omertà, violenza, degrado e criminalità. Purtroppo altre pagine verranno scritte su questa vicenda e non è escluso che le prossime saranno ancora più cruente.
Gli sviluppi legati all’inchiesta in questione hanno impressionato molto l’opinione pubblica, per quello stupro ripetuto chissà quante volte e culminato in un omicidio. Raimondo Caputo e la sua compagna presunta complice Marianna Fabicchi sono stati aggrediti e picchiati, anche loro paradossalmente lontani da quel micro cosmo.
In questa raccapricciante vicenda di Chicca non esistono adulti innocenti ma solo adulti colpevoli per non aver vigilato, per aver abusato, per aver offeso, ucciso, mentito e violato ogni legge non solo degli uomini, ma anche di Dio.
Di cosa saranno ritenuti davvero colpevoli, e di quali e quanti orrori, dovrà accertarlo la magistratura, ma l’impressione è che la carrellata delle crudeli oscenità che ora sembra solo nell’immaginario agghiacciante, lo sarà anche nella realtà.
Nell’inferno del Parco Verde di Caivano, intriso di clima mafioso, s’intrecciano le tredici piazze di spaccio tra i viali delle palazzine popolari, e sembra che abbiano sostituito Scampia come centro di distribuzione degli stupefacenti della provincia di Napoli.
Là troneggiano cocaina, krac, kobret, fumo e soprattutto tanta eroina. I brulli giardini del parco, lasciati al degrado, sono usati dai tossicodipendenti per bucarsi, e quindi del tutto interdetti ai bambini. Qualche volontario a volte si occupa di portare via le siringhe sporche abbandonate ai bordi di un campo da calcio. Poco più in là verso la campagna ci sono migliaia di aghi conficcati per terra e nei tronchi degli alberi.
Droga come se piovesse a poco prezzo, porcheria che scorre come veleno e tutto in un ambiente dove circolano famiglie e bambini.
Non può essere solo lo stato a ripulire un posto simile, dove s’intrecciano omertà, stile di vita mafioso, coca e poco altro. Il grado d’istruzione medio della popolazione del luogo è piuttosto basso, c’è incredibilmente moltissimo analfabetismo anche tra soggetti molto giovani e dove c’è ignoranza germogliano tutti i mali.
Riguardo la povertà minorile, l’Italia è il Paese che ha più fortemente sofferto la crisi economica e sono più di un milione i bambini che vivono in condizioni di estrema povertà, mentre il 34% sono a rischio povertà ed esclusione sociale.
La disoccupazione e la sotto occupazione degli adulti, accanto al deterioramento dei servizi sociali offerti alle famiglie, hanno peggiorato le condizioni di vita dei bambini italiani. La deprivazione materiale e il crollo degli standard di vita hanno interessato i consumi, la nutrizione, la salute, lo sport, e l’ambiente in cui i bambini si trovano a vivere.
Il numero di minori che ha provato l’esperienza della povertà alimentare sembrerebbe raddoppiato dall’inizio della crisi economica, che depreda non solo i sogni, ma anche la vita stessa di chi è più debole.
Se è vero che la crisi sta finendo, è altrettanto vero che gli strascichi e i colpi di coda li sentiremo ancora molto a lungo, poiché hanno segnato duramente il Paese. L’Italia è una della nazioni più colpite con oltre 600mila bambini poveri in più. Il tasso di povertà infantile negli anni della crisi è aumentato dal 24,7 al 30,4 per cento. Uno dei tassi di crescita più alti, insieme ad altri Paesi dell’Europa meridionale come Grecia e Spagna, ma anche Croazia, Irlanda, Islanda e pure Lussemburgo.
Il 16% dei bambini italiani vive in condizioni di grave deprivazione materiale, cioè in famiglie che non sono in grado di permettersi di pagare l’affitto, il mutuo o le utenze, tenere l’abitazione adeguatamente riscaldata, affrontare spese impreviste, consumare regolarmente carne o andare in vacanza, o anche possedere un televisore, una lavatrice, un’auto o un telefono.
La crisi ha portato anche dei cambiamenti nella percezione delle proprie condizioni di vita. Aumenta lo stress e il senso d’insicurezza. Ma anche il numero di persone che dichiara di non avere mezzi sufficienti per sé e per la propria famiglia.
I bambini vivono gli sconvolgimenti delle famiglie, subiscono le umiliazioni davanti agli amici e compagni di scuola e sono influenzati dai cambiamenti di alimentazione, dall’eliminazione di attività sportive o musicali e dalla mancanza di denaro per l’acquisto di materiale scolastico. Circostanze estreme possono portare la famiglia a lasciare la casa o addirittura il proprio Paese. La povertà è un circolo vizioso. Un bambino che ha i genitori disoccupati può avere problemi di rendimento scolastico, che a loro volta possono provocare un aumento dello stress a casa, e così via. Più a lungo un bambino resta bloccato in questo circolo vizioso, meno possibilità avrà di sfuggirgli.
Dal 2008 a oggi la percentuale di nuclei familiari con bambini non in grado di permettersi un pasto con carne, pollo o pesce ogni due giorni è più che raddoppiata, vale soprattutto per le coppie separate o divorziate, visto che il calo del reddito ha aumentato la pressione su rapporti già caratterizzati da tensioni e stress.
La capacità dei governi di proteggere i bambini dalla crisi non è cresciuta in maniera adeguata, soprattutto in ambiti fondamentali come la salute e l’istruzione. A quanto emerge dai dati, però, già prima della grande recessione da almeno un decennio nei Paesi più industrializzati i bambini erano a maggior rischio povertà.
Nel nostro Paese, le uniche politiche significative segnalate dall’Unicef sono i sussidi in denaro per le famiglie a basso reddito estese agli immigrati, sia comunitari sia extracomunitari, e i voucher per la cura dei figli destinati alle madri che non utilizzano il congedo parentale. Il Ministero della salute fa fatica a monitorare la salute dei cittadini, eppure il Governo fa poco per arginare l’aggressione e l’invasione pericolosa di immigrati, di cui solo una piccolissima percentuale fugge dalla guerra. I migranti economici tolgono risorse ai nostri figli, dunque siamo sicuri di voler continuare su questa strada?
La maggior parte dei ricercatori italiani all’estero non ha alcuna intenzione di tornare in Italia e questa è davvero una pessima notizia, molto più di quanto si creda, perché svilisce la reputazione e la credibilità internazionale dei nostri istituti di ricerca e delle nostre bistrattate università.
Su un campione di quasi mille ricercatori espatriati con un’età compresa tra i venticinque e i quarant’anni, il 73% risiede felicemente fuori dai confini nazionali e non ha intenzione di tornare indietro per mille motivi che pesano come pietre.
La restante percentuale tornerebbe solo a determinate condizioni. E come dare torto ai nostri giovani, visti i magri stipendi di un’Italia matrigna nei confronti dei suoi figli migliori?
Costoro vorrebbero il riconoscimento pieno della carriera acquisita, maggiori redditi, migliore gestione delle risorse destinate alla ricerca e alle università ovviamente, tuttavia per ora ciò sembra una pia illusione.
La vera nota dolente però è l’accesso ai finanziamenti per la ricerca, in Italia considerata non meritocratica. I nostri ricercatori all’estero non si nascondono più, e a viso scoperto e con non poca amarezza denunciano raccomandazioni, nepotismo, favoritismi che hanno sempre strozzato le aspirazioni di tanti che hanno faticato per emergere e spesso non ci sono riusciti. Quindi non solo vengono tarpate le ali a chi vale, ma si svilisce inevitabilmente il prestigio della ricerca italiana, riducendola a una barzelletta.
Quasi tutti i nostri ricercatori emigrano per inseguire migliori opportunità occupazionali, incentivi economici, attratti dalla possibilità di avere risorse e strumenti per andare avanti con il loro lavoro. Dunque i principali fattori di richiamo risiedono nell’efficace organizzazione del lavoro estero, nelle strutture, nelle politiche applicate e nelle prospettive di carriera che qui in Italia si riducono al lumicino, semplicemente perché bisogna riservare un posto al sole a una pletora di mentecatti ben protetti e talvolta non solo inconcludenti, ma anche pericolosi, quanto meno per la nostra reputazione di “Nazione”.
Insomma, tutte queste valutazioni finiscono per far sfumare del tutto la voglia di rientrare e colmano di amarezza i discorsi e diciamo pure gli sfoghi di tante menti eccellenti che non giocano e probabilmente non giocheranno mai per la nostra squadra, quella italiana.
Molti biasimano che tanti ricercatori italiani scappino, per il fatto che desiderano la valorizzazione delle loro competenze, e che vogliano sfuggire dall’eterna e farraginosa burocrazia italiana che strozza fin troppe iniziative, bloccandole sul nascere, e questo è grottesco.
Infine c’è un aspetto che incuriosisce; nonostante la considerazione quasi del tutto negativa delle proprie condizioni di lavoro, se si chiede oggi a un ricercatore italiano non giovanissimo la sua disponibilità a trasferirsi altrove, traspare solo una prudente propensione a emigrare. Forse si spera nella riforma dell’università, o nella congiuntura economica che potrebbe migliorare. Fatto sta che chi si trova all’estero per il momento non pensa di rimpatriare, mentre i ricercatori che decidono di restare, nonostante le forti critiche al paese, lo fanno ancorandosi a un incrollabile e forse utopistico ottimismo.
L’Italia è brava a formare cervelli ma non a custodirli, e tanto meno ad attrarli e per nulla a farli rientrare.
Siamo primissimi tra quaranta paesi per numero di richieste di finanziamento a dimostrazione che i ricercatori italiani hanno “fame” di ricerca e sono sempre più costretti a guardare altrove visto che nelle nostre università e nei centri di ricerca i fondi se arrivano sono centellinati con il contagocce.
Inoltre l’Italia come destinazione finale dove poi spendere i fondi garantiti dall’Ue è snobbata dai ricercatori degli altri Paesi, spesso molto sostanziosi, quindi se c’è un momento per riformare, è senz’altro questo.
Sicuramente la più privilegiata e famosa delle numerose amanti di papa Alessandro VI Borgia, particolare di fondamentale importanza per lei e per la fortuna della sua casata e poi per la sua bellezza, dimenticata volutamente, al punto che non si sa dziata quella stretta e niente affatto segreta relazione tra Giulia e il cardinale Rodrigo Borgia, che continuò anche dopo l’ascesa di questi al soglio pontificio nel 1492. A tal punto che Giulia, giustificata dalle frequenti e necessarie assenze del marito, andò spesso ad abitare nel palazzo arcipretale di S. Pietro, assieme a Lucrezia Borgia, invece che nella tradizionale residenza romana degli Orsini di Montegiordano. Inoltre, quando nacque Laura Orsini nel 1492 a Roma sorsero subito i sospetti che il vero padre fosse Borgia.
E probabilmente ciò deve essere stato vero, a giudicare dallo zelo con cui il pontefice tramite i suoi funzionari s’impegnò a contrarre per lei il più vantaggioso dei matrimoni.
Tornando alle vicende di Giulia, questa nel 1494 si allontana da Roma per recarsi, insieme a Lucrezia Borgia a Pesaro e in altri luoghi. Testimonianza di ciò è uno scambio epistolare quanto mai affettuoso tra Giulia e il papa, riportato dal PASTOR.
Allontanarsi da Roma servirà solo a far agitare il Papa. Inutili le insistenti e furiose sollecitazioni di costui che non si fa scrupolo nemmeno di minacciare addirittura la scomunica. Poi i rapporti s’incrineranno, ma i vantaggi avuti dalla sua famiglia per quella relazione, saranno comunque moltissimi.
Basta pensare che Alessandro Farnese cominciò la sua carriera con la nomina a cardinale, avvenuta assieme a Cesare Borgia ne1 1493. Per la sua nomina l’intercessione di Giulia presso Alessandro VI fu fondamentale, tanto che costò al fratello il diffamante e popolare titolo di “Cardinale della gonnella”. Tuttavia il fratello carnale di Lucrezia Borgia, detto il Valentino, uomo senza scrupoli, già operava.
Il fratello di Giulia nel 1503 salì al soglio pontificio come Giulio II e i Farnese dopo essere stati a lungo compromessi con gli scandalosi Borgia, iniziarono una lenta riabilitazione agli occhi del mondo che culminò con il matrimonio tra Laura Orsini e Niccolò della Rovere.
Il matrimonio avvenne il 15 novembre del 1505: presenti il cardinale Alessandro Farnese, e l’ormai vedova Giulia Farnese.
Un certo numero di documenti ci fanno capire che la Farnese risedette a Carbognano. E non solo, ma vi compì le funzioni di vera e propria feudataria, almeno dal 1506 fino alla sua morte, avvenuta il 23 marzo del 1524.
Veniamo ora a un ulteriore interrogativo: come mai nessun personaggio femminile della stirpe Farnese ha mai suscitato tanto interesse e tanta ammirazione da parte di studiosi, scrittori o semplici lettori quanto Giulia, sorella di Paolo III e amante per lungo tempo del papa Alessandro VI Rodrigo Borgia? Perché ancora oggi Giulia suscita tanto interesse? La ragione è semplice: perché Giulia aveva il dono della bellezza, una bellezza oggetto d’invidia, gelosia, maldicenza, ma pur sempre di ammirazione.
Una bellezza che fu un “valore” ben amministrato da cui venne tratto il massimo profitto e che portò la piccola Giulia, non ancora quindicenne, a essere offerta su di un piatto d’argento al lussurioso Cardinal Rodrigo Borgia, che di anni ne aveva quasi sessanta: un muto patto scellerato dal quale tutti si riproponevano grandi benefici. Il cardinale poteva aggiungere una nuova perla, la più preziosa.
In molti si sono affannati a ricercare il suo volto e hanno ritenuto di individuarlo nelle varie dame o vergini con liocorno, frequente nell’ambito della famiglia Farnese, allegoria molto ricorrente tra le stanze del castello di Carbognano, dimora di Giulia. Da Raffaello a Domenichino a Luca Longhi o nello splendido profilo di donna inginocchiata nella Trasfigurazione di Raffaello, molto è stato ricostruito.
I più vedono Giulia nella statua di donna con fascio littorio, allegoria della Giustizia, sdraiata ai piedi della statua di Paolo III nel monumento funebre di quest’ultimo in Vaticano.
Una autorevolissima fonte storico-letteraria infine (vale a dire il Vasari nelle sue “Vite”) identifica Giulia nella Madonna con Bambino dipinta dal Pinturicchio nella Sala dei Santi dell’appartamento Borgia in Vaticano.
Vi è anche chi ritiene che la mancanza di immagini sia dovuta ad una sorta di “damnatio memoriae” a cui Giulia sarebbe stata sottoposta per volere di Alessandro IV e del cardinal Alessandro Farnese. Al primo ricordava la causa non certo onorevole della sua investitura a cardinale; al secondo appariva come un possibile ostacolo sulla strada delle proprie ambizioni. Avrebbero così fatto distruggere tutti i ritratti di Giulia, il cui solo ricordo era per entrambi fonte d’imbarazzo.
Da ultimo c’è chi identifica Giulia in alcuni dipinti d’importanti pittori, e cioè in Raffaello nella sua Dama con Liocorno, in Longhi nel dipinto Dama con Liocorno e infine Nel Domenichino nella sua raffigurazione della Vergine con Liocorno. Naturalmente sono tutte ipotesi in cerca di elementi che attribuiscano loro valore di veridicità storica.