Archivio per gennaio 2011

17
Gen
11

Quindi non era solo il “capobanda” Moggi a frequentare gli spogliatoi degli arbitri…

(di Gabriele Capasso)

La storia di Marco Gabriele l’abbiamo già raccontata. Vale la pena di rileggerla, perchè è davvero incredibile. Abbiamo chiesto all’ex arbitro laziale di raccontarci la sua storia, e soprattutto gli sconvolgimenti avuti sul piano umano. Perchè, tra una telefonata e l’altra, spesso si finisce per dimenticare che è di persone con una vita rovinata che si sta parlando..

Il suo coinvolgimento in Calciopoli è determinato dall’indicazione come quarto uomo per la partita Roma – Juventus del 5 Marzo 2005. Forse non tutti sanno che l’unico elemento di prova nei suoi confronti si riduce ad una parola, “sicuro” , associata a “telefono” . Ci può raccontare cosa accadde?

«Una premessa è d’obbligo. Io sono di Frosinone, può immaginare quante telefonate con richieste di magliette di giocatori, biglietti gratis e gadget avrei potuto ricevere andando a fare una partita come Roma–Juve. Per questo motivo in quei giorni tengo il cellulare (il mio unico cellulare) spesso spento. Per questa ragione Bergamo deve aver avuto qualche difficoltà nel contattarmi. I PM leggono le trascrizioni di due telefonate inserite dai Carabinieri nelle Informative. La prima è fra Paolo Bergamo e Maria Grazia Fazi (ndr ex segretaria CAN), la seconda è fra la stessa Fazi e mia moglie. In quella conversazione la Fazi chiede di riferirmi di “portare un telefono sicuro per la partita” e di “lasciarlo acceso”. Il problema è che nelle informative manca la successiva telefonata fra me e la Fazi nella quale, dopo essere stato avvertito da mia moglie le dico: “Riferisci pure a Paolo che puoi chiamarmi sul mio numero”. Nessuna scheda svizzera, nessun telefono “sicuro”. Ricordavo perfettamente questa chiamata e quando venni interrogato dal PM Narducci, già in veste di indagato, pretesi che venisse acquisita agli atti. Dovetti aspettare due ore che mi venissero consegnati i brogliacci delle intercettazioni per andare a rintracciarla».

Questa non era la sola prova mancante nelle Informative. C’era anche un sms partito dal cellulare di Paolo Bergamo verso il suo durante quella partita…

«Esatto. Con il senno di poi posso dire di essere riuscito a difendermi dalle accuse per puro caso, per “fortuna”. Un paio di mesi dopo quella partita il mio cellulare si ruppe. Avrei potuto buttarlo, ma quel telefono conteneva le prime foto scattate a mia figlia e per questa ragione lo conservai in un cassetto. Nella memoria di quel cellulare c’era anche l’sms partito dal cellulare di Bergamo alle 20.59, il testo era semplice: “Attenzione, gol Juve in fuorigioco”, si riferiva al gol di Cannavaro. Quando portai questo sms ai PM, insieme alla telefonata “sfuggita” ai carabinieri, speravo in un’archiviazione del procedimento a mio carico. Non è stato così e ho dovuto attendere anni per arrivare all’assoluzione nel processo con rito abbreviato».

Sono passati anni. Quali sono state le conseguenze che ha dovuto patire, nella sua vita privata e professionale, per essere finito in questa inchiesta con la conseguente enorme esposizione mediatica?

«Ancora oggi continuo a chiedermi come sia possibile che nel 2006 su L’Espresso siano finiti i numeri di telefono di mio suocero e di mia moglie. Senza tener conto di come questa vicenda mi abbia toccato da un punto di vista morale, ledendo la mia immagine. Ancora oggi, vivendo in una piccola città, le persone mi rivolgono battute chiedendomi quale telefono mi abbia regalato Moggi. A nessuno degli arbitri coinvolti una sentenza di assoluzione o un qualsiasi risarcimento potrà restituire quanto ci è stato tolto. Io sono un consulente finanziario, lavoro con banche che mi hanno chiaramente detto che alla prima sentenza di colpevolezza avrebbero immediatamente interrotto ogni rapporto con me. In qualche caso contratti già pronti non sono arrivati alla stipula perché qualcuno riteneva sconveniente concludere degli accordi con il sottoscritto. Questo chi glielo spiega a chi ha indagato, magari con leggerezza?».

Torniamo alla sua esperienza di arbitro di quegli anni. C’era da parte vostra la percezione che un errore “pro Juve” e “contro la Juve” potessero avere un peso differente quando Moggi era direttore generale?

«Io sono arrivato alla CAN quando la remunerazione riconosciuta agli arbitri diventava molto interessante (ogni gara di Serie A valeva 5.000 €, ndr). Guadagnare certe cifre per divertirsi non dispiaceva a nessuno. Sapevamo che commettere un qualsiasi errore in una partita importante, magari decisiva per lo scudetto, avrebbe avuto un enorme risalto nell’opinione pubblica. Ascoltando le intercettazioni l’impressione è che tanti dirigenti sportivi millantassero credito rispetto agli errori dei fischietti che, ci posso mettere la mano sul fuoco, non erano mai volontari. L’obiettivo di ogni arbitro era quello di non rischiare di finire sui giornali, l’unico modo per farlo era quello di non commettere errori. Valeva per tutte le squadre, sia che si sbagliasse a favore della Juventus sia contro si rischiava alla stessa identica maniera di finire travolti dalle polemiche e di essere sospesi per molte gare. Gli interessi in gioco erano molti e spesso in contrasto tra loro. Ricordo cosa successe a Bertini dopo uno Juventus–Milan 0-0. Aveva arbitrato bene, anche le tv nei commenti a caldo ne parlavano bene. Il giorno dopo su un giornale, di cui preferisco non fare il nome, sembrava si fosse giocata tutta un’altra partita con l’arbitro messo sul banco degli imputati».

C’è un’altra intercettazione “sfuggita” ai Carabinieri che ti riguarda. Bergamo parla al telefono con il Presidente Moratti prima di una gara di Coppa Italia fra Inter e Bologna (3-1 per i nerazzurri il risultato finale) e lo invita ad andarti a trovare prima della partita. Era la prassi?

«Ricordo bene quella gara, il Bologna schierava i primavera e l’Inter altrettanto. Una partita tranquillissima. Non ci fu alcun problema neanche negli spogliatoi, era assolutamente normale. Io avevo rapporti ottimi con i dirigenti sportivi, ho visto tutti i presidenti delle squadre che arbitravo quando giocavo in casa loro e non solo. Vivevo con lo spogliatoio aperto e venivano tutti a salutarmi».

Quindi non era solo il “capobanda” Moggi a frequentare gli spogliatoi degli arbitri…

«Assolutamente, era normalissimo, venivano tutti, sono venuti sempre. D’altra parte sarebbe anche paradossale se qualcuno venisse in uno spogliatoio a dirti “Oggi fammi vincere”. Oppure no?».

02
Gen
11

L’antico pavimento affiorato ad Alatri è una perla incastonata in Piazza Santa Maria Maggiore!

L’antico pavimento affiorato ad Alatri è una perla incastonata in Piazza Santa Maria Maggiore!

Lavoro di scavo a cura del dott. Dario Pietrafesa

Il 17 maggio 05’, è stato presentato ad Alatri il pannello illustrativo del bellissimo pavimento, rinvenuto ai piedi della scalinata in pietra e a ridosso delle fondamenta della chiesa degli Scolopi in Piazza Santa Maria Maggiore.

E’ stato possibile collocare storicamente la pavimentazione tra la seconda metà del III sec. e il II sec a.C., mentre le sue ragguardevoli dimensioni sono di m. 6,40 x 5,20.

Ci troviamo davanti ad un bellissimo pavimento di “cocciopesto rosso”, (una miscela di cocci di terra cotta impastati con calce grassa, usata spesso dagli antichi Romani per le pavimentazioni) la decorazione interna è stata ottenuta con piccole tessere calcaree bianche quadrangolari che ordiscono la trama di quello che sembra uno splendido tappeto!

Possiamo vedere al centro del pavimento, relativo a quello che probabilmente era un grande edificio, una serie di rombi in sequenza che compongono un disegno piuttosto complesso, con otto triangoli che nascono da un tassello centrale più grande. Si delinea una geometria perfetta quanto suggestiva, racchiusa in quattro cerchi concentrici, due dei quali realizzati in alternanza con tessere bianche più grandi. Ai quattro angoli del quadrato che racchiude il disegno appena descritto, ci sono dei motivi floreali stilizzati ed infine, in quello che sembra quasi un “arazzo”, la pavimentazione continua nella sua geometria e termina con altre decorazioni con quadrati che si alternano a svastiche.

Va sottolineato che sul pavimento di cui parliamo ci sono due soglie d’ingresso, quindi si deduce che dietro l’ambiente ad esso relativo, doveva essercene un altro su cui in seguito fu costruita la chiesa. Parliamo dunque di un’area archeologica piuttosto estesa: infatti, da indagini e ricerche è emerso che esiste almeno un altro pavimento in cocciopesto rosso, simile a quello ritrovato. Purtroppo molto è stato irrimediabilmente sepolto per sempre dagli edifici circostanti, o danneggiato da quella che in qualche modo possiamo definire “l’invasione moderna” di tubature, cavi elettrici, manutenzioni varie e quant’altro.

Sono molti gli elementi affiorati e i ritrovamenti archeologici che hanno sorpreso il tecnico così come l’uomo della strada, in seguito ai lunghi e laboriosi lavori di pavimentazione che hanno interessato gran parte del centro della città. Dunque è bene custodire gelosamente ogni indizio, ogni traccia, ogni reperto, affinché possano essere studiati sia per l’importanza storica che costituiscono, ma anche per aggiungere al nostro “personale mosaico”, quello che oggi è definito puzzle, altre importanti tessere che ci aiuteranno senz’altro a capire meglio chi siamo e da dove veniamo.

Naturalmente una foto o una semplice descrizione non possono rendere l’idea della bellezza stilistica, dell’emozione e soprattutto della meraviglia che si può provare nel vedere un “dipinto in pietra”, testimonianza esteticamente delicata quanto concreta della nostra civiltà, una vera e propria opera d’arte rimasta sepolta per più di duemila anni al centro del cuore della città.

Credo sia giusto quanto appropriato, che un dono così prezioso ricevuto in eredità dai nostri avi e custodito a lungo dal tempo, sia oggi una perla che splenda nel luogo che le compete, riempiendoci d’orgoglio.

Proprio il rispetto delle nostre radici e quel senso di “sacro” per la nostra storia, hanno sempre animato il lavoro d’Angelo Lisi, Ispettore Onorario della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio da poco scomparso, che ha speso gran parte della sua vita per questi ideali, considerandoli l’essenza più autentica della nostra cultura, da nutrire con un impegno serio nel voler tutelare e tramandare la ricchezza del nostro patrimonio culturale.

Abbiamo chiesto al dott. Dario Pietrafesa, l’archeologo che ha seguito l’iter del progetto, cosa si prova nel trovare qualcosa che per millenni è rimasto sepolto.

Va sottolineato che l’archeologo si applica sempre con passione, e quello che prova è amore per un lavoro spesso duro e faticoso e per tutto quello che fa. C’è una grande soddisfazione nel vedere  premiati i propri sforzi, sacrifici, la costanza, realizzando che aveva un senso portare a temine un lavoro in cui si credeva. Per me il percorso emotivo si conclude quando la cittadinanza vede il progetto realizzato, ma l’emozione resta del tutto personale.

 




gennaio: 2011
L M M G V S D
 12
3456789
10111213141516
17181920212223
24252627282930
31