“La vita vuota delle cose che non ho”
Difficile affrontare il tema della prostituzione, senza rischiare di cadere in banalità, nella trappola, mortale per uno scrittore, di smielati luoghi comuni.
Eppure, con sottile ironia e profonda leggerezza, Simona Aiuti è riuscita a descrivere con il suo racconto “La vita vuota delle cose che non ho”, il desiderio di normalità di una lucciola, di una donna costretta ad usare il proprio corpo per sopravvivere e permettere così ai propri figli di vivere. Con linguaggio colloquiale, ma mai scontato, la Aiuti srotola i pensieri della protagonista divisi fra l’ansia di dover pagare le bollette e la paura del tramonto, campana che la richiama al suo triste ma necessario lavoro.
Un lavoro facile da dimenticare solo al mattino, quando c’è da fare la mamma e la casalinga, quando c’è da scambiare qualche parola con le altre donne, spesso mogli dei suoi clienti; poi però giunge l’ora della cena, e il terrore di una strada familiare ma imprevedibile, in grado di strapparla per sempre ai suoi figli, si fa nuovamente vivo: e il cuore sussulta, ogni volta.
Mariangela Parisi
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