Archivio per giugno 2010

29
Giu
10

Tronchetti Provera non è attendibile!

ROMA, 29 giugno – Una fonte inesauribile, il caso Telecom, quasi quanto le 170 mila telefonate di Calciopoli: dopo Abete spuntano Nicchi, Rosetti e molti altri. Ieri è stata la volta delle attesissime motivazioni dell’assoluzione dal reato di appropriazione indebita di Tavaroli, Ghionie Cipriani per i compensi ottenuti in seguito alle indagini illegali sugli avversari di Telecom, Pirelli e del suo presidente Tronchetti Provera («ma per lui – dice Ghioni – l’Inter era come fosse Telecom»). La gup Panasiti ha scritto in oltre 400 pagine che la testimonianza di Tronchetti Provera sui dossier, compresi quelli “dedicati” con tanto di pedinamenti e controlli di ogni tipo a giocatori dell’Inter come Vieri o arbitri come De Santis, è da ritenersi «inattendibile e inaffidabile». Gli avvocati del numero 1 della Pirelli ritengono, altresì, «errata la sentenza». In ogni caso: la giudice Panasiti non crede a quanto il consigliere di amministrazione dell’Inter ha detto in udienza.

DICHIARAZIONI – Il passaggio della sentenza è tranchant: «L’attendibilità delle dichiarazioni di Marco Tronchetti Provera – scrive il giudice Panasiti – è risultata gravemente inficiata non soltanto dalle nette smentite alla sua ricostruzione degli avvenimenti fornita dalle contrarie indicazioni rese dagli altri testimoni e, in particolare, da quelli esaminati in fase di udienza; non soltanto da una valutazione logica degli avvenimenti, che conduce a ritenere che le operazioni sopra descritte non potevano essere frutto di una attività autoreferenziale del Tavaroli, bensì di un pieno e soddisfatto interesse aziendale e di esso Tronchetti Provera in particolare; non soltanto dall’analisi della documentazione rinvenuta quale sopra riportata; ma anche da alcune affermazioni pervenute dal Tronchetti in udienza, che icasticamente descrivono quello che è stato durante tutte le indagini l’atteggiamento processuale del Presidente delle due società, sintetizzabile in una radicale negatoria anche degli aspetti più evidenti della vicenda, che assai difficilmente poteva non conoscere, proprio perché verificatisi in entrambe le aziende da lui dirette».

29
Giu
10

E’ morto Pietro Taricone

Pietro Taricone non ce l’ha fatta

E’ stata una notte lunga e dolorosa, e alla fine il guerriero ha deposto per sempre le armi.

Precipitato lunedì dopo un lancio con il paracadute a Terni, l’attore 35enne è morto nell’ospedale della città umbra, dove i medici hanno cercato in tutti i modi di salvargli la vita con una lunghissima operazione durata 9 ore. Troppo gravi le lesioni interne riportate nell’impatto. Accanto a Taricone è rimasta sempre la compagna Kasia Smutniak che si era lanciata con il paracadute poco dopo di lui dallo stesso aereo.

Rianimato sul posto da personale del 118 dopo aver subito un arresto cardio-circolatorio, era stato subito trasferito in ospedale dove gli sono state riscontrate diverse fratture. In particolare alle gambe e al bacino. Taricone aveva inoltre subito traumi alla testa e all’addome, con emorragie definite devastanti.

L’attore è stato sottoposto a un’operazione lunghissima, durata oltre nove ore.

Il decesso è avvenuto per improvvise complicazioni. Pietro Taricone non ha mai ripreso conoscenza dopo l’incidente; con lui è rimasta sempre in ospedale la compagna Kasia Smutniak.

Cosa sia successo esattamente durante quel lancio maledetto a Pietro lo dovrà stabilire l’indagine svolta dalla polizia. Dalle testimonianze già raccolte dagli investigatori è emerso che il paracadute di Taricone si è aperto regolarmente dopo un lancio da 1.500-2.000 metri di altezza. Poi, però, un colpo di vento o una manovra errata nelle ultime fasi del volo lo hanno fatto finire a terra a una velocità ben superiore a quella prevista.

‘O guerriero, come era sempre stato definito Pietro Taricone era da tempo un habituè dell’avio superficie umbra che frequentava da circa un anno e mezzo e dove si era più volte lanciato con la scuola di paracadutismo “Gordio”. Al presidente della società che gestisce l’area, Sergio Sbarzella, aveva confidato nei mesi scorsi che per lui il paracadutismo non era solo uno sport per lui, bensì un’attività che forma l’equilibrio psico-fisico della persona

Questo non è il momento delle domande e dei quesiti, ma dello sgomento, del dolore e del silenzio per rispetto alla famiglia.

Simona Aiuti

28
Giu
10

L’Inter ha degli scheletri nell’armadio? Ferruccio Mazzola così diceva….

Riporto un esplosivo articolo tratto da una vecchia edizione de “L’Espresso” , in cui Ferruccio Mazzola (il fratello minore di Sandro Mazzola) racconta di come il grande Herrera fosse solito somministrare pasticche di sostanze dopanti sciolte nel caffè ai giocatori. Anticipo sin da subito il “piatto forte” della dichiarazione di Ferruccio, che alla domanda del giornalista Gilioli in merito ai suoi rapporti con gli “onesti” risponde così:

“[..] Se avessi voluto davvero fare del male all’Inter, in quel libro avrei scritto anche tante altre cose. Avrei parlato delle partite truccate e degli arbitri comprati, specie nelle coppe. Invece ho lasciato perdere…”

Già, ma recentemente hanno perso la cattiva abitudine di comprare le partite: è molto più economico far passare gli altri per ladri e poi beneficiare delle conseguenze, no?

Vi posto l’intero articolo:

Pasticca nerazzurra
di Alessandro Gilioli
Fonte Espresso.

Pillole nel caffè. Che Herrera dava ai giocatori. Molti dei quali sono morti. Un ex racconta il doping della Grande Inter. E chiama in aula tutti i campioni di allora colloquio con Ferruccio Mazzola
Sono campioni che hanno fatto la storia del calcio italiano quelli che passeranno, uno dopo l’altro, in un’aula del tribunale di Roma a parlare di doping. Come Giacinto Facchetti, splendido terzino sinistro e oggi presidente dell’Inter; o come Sandro Mazzola, Mariolino Corso, Luis Suarez. E ancora: Tarcisio Burnich, Gianfranco Bedin, Angelo Domenghini, Aristide Guarneri. Tutti chiamati a testimoniare da un loro compagno di squadra di allora, Ferruccio Mazzola, fratello minore di Sandro, che vuole sentire dalla loro voce – e sotto giuramento – la verità su quella Grande Inter che negli anni ’60 vinse in Italia e nel mondo. «Non l’ho cercato io, questo processo: mi ci hanno tirato dentro. Ma adesso deve venire fuori tutto», dice Ferruccio.

A che cosa si riferisce, Mazzola?
«Sono stato in quell’Inter anch’io, anche se ho giocato poco come titolare. Ho vissuto in prima persona le pratiche a cui erano sottoposti i calciatori. Ho visto l’allenatore, Helenio Herrera, che dava le pasticche da mettere sotto la lingua. Le sperimentava sulle riserve (io ero spesso tra quelle) e poi le dava anche ai titolari. Qualcuno le prendeva, qualcuno le sputava di nascosto. Fu mio fratello Sandro a dirmi: se non vuoi mandarla giù, vai in bagno e buttala via. Così facevano in molti. Poi però un giorno Herrera si accorse che le sputavamo, allora si mise a scioglierle nel caffè. Da quel giorno “il caffè” di Herrera divenne una prassi all’Inter».

Cosa c’era in quelle pasticche?
«Con certezza non lo so, ma credo fossero anfetamine. Una volta dopo quel caffè, era un Como-Inter del 1967, sono stato tre giorni e tre notti in uno stato di allucinazione totale, come un epilettico. Oggi tutti negano, incredibilmente. Perfino Sandro…».

Suo fratello?
«Sì. Sandro e io, da quando ho deciso di tirare fuori questa storia, non ci parliamo più. Lui dice che i panni sporchi si lavano in famiglia. Io invece credo che sia giusto dirle queste cose, anche per i miei compagni di allora che si sono ammalati e magari ci hanno lasciato la pelle. Tanti, troppi…».

A chi si riferisce?
«Il primo è stato Armando Picchi, il capitano di quella squadra, morto a 36 anni di tumore alla colonna vertebrale. Poi è stato il turno di Marcello Giusti, che giocava nelle riserve, ucciso da un cancro al cervello alla fine degli anni ’90. Carlo Tagnin, uno che le pasticche non le rifiutava mai perché non era un fuoriclasse e voleva allungarsi la carriera correndo come un ragazzino, è morto di osteosarcoma nel 2000. Mauro Bicicli se n’è andato nel 2001 per un tumore al fegato. Ferdinando Miniussi, il portiere di riserva, è morto nel 2002 per una cirrosi epatica evoluta da epatite C. Enea Masiero, all’Inter tra il ’55 e il ’64, sta facendo la chemioterapia. Pino Longoni, che è passato per le giovanili dell’Inter prima di andare alla Fiorentina, ha una vasculopatia ed è su una sedia a rotelle, senza speranze di guarigione…».

A parte Picchi e forse Tagnin, gli altri sono nomi meno noti rispetto ai grandi campioni.

«Perché le riserve ne prendevano di più, di quelle pasticchette bianche. Gliel’ho detto, noi panchinari facevamo da cavie. Ne ho parlato per la prima volta qualche mese fa nella mia autobiografia (“Il terzo incomodo”, scritto con Fabrizio Càlzia, Bradipolibri 2004, ndr), che ha portato al processo di Roma».

Perché?
«Perché dopo la pubblicazione di quel libro mi è arrivata la querela per diffamazione firmata da Facchetti, nella sua qualità di presidente dell’Inter. Vogliono andare davanti al giudice? Benissimo: il 19 novembre ci sarà la seconda udienza e chiederemo che tutti i giocatori della squadra di allora, intendo dire quelli che sono ancora vivi, vengano in tribunale a testimoniare. Voglio vedere se sotto giuramento avranno il coraggio di non dire la verità».

Ma lei di Facchetti non era amico?
«Sì, ma lasciamo perdere Facchetti, non voglio dire niente su di lui. Sarebbero cose troppo pesanti». Pensa che dal dibattimento uscirà un’immagine diversa dell’Inter vincente di quegli anni? «Non lo so, non mi interessa. Se avessi voluto davvero fare del male all’Inter, in quel libro avrei scritto anche tante altre cose. Avrei parlato delle partite truccate e degli arbitri comprati, specie nelle coppe. Invece ho lasciato perdere…».

Ma era solo nell’Inter che ci si dopava in quegli anni?
«Certo che no. Io sono stato anche nella Fiorentina e nella Lazio, quindi posso parlare direttamente anche di quelle esperienze. A Firenze, il sabato mattina, passavano o il massaggiatore o il medico sociale e ci facevano fare delle flebo, le stesse di cui parlava Bruno Beatrice a sua moglie. Io ero in camera con Giancarlo De Sisti e le prendevamo insieme. Non che fossero obbligatorie, ma chi non le prendeva poi difficilmente giocava. Di quella squadra, ormai si sa, oltre a Bruno Beatrice sono morti Ugo Ferrante (arresto cardiaco nel 2003) e Nello Saltutti (carcinoma nel 2004). Altri hanno avuto malattie gravissime, come Mimmo Caso, Massimo Mattolini, lo stesso De Sisti…».

De Sisti smentisce di essersi dopato.

«”Picchio” in televisione dice una cosa, quando siamo fuori insieme a fumare una sigaretta ne dice un’altra…».

E alla Lazio?

«Lì ci davano il Villescon, un farmaco che non faceva sentire la fatica. Arrivava direttamente dalla farmacia. Roba che ti faceva andare come un treno».

Altre squadre?

«Quando Herrera passò alla Roma, portò gli stessi metodi che aveva usato all’Inter. Di che cosa pensa che sia morto il centravanti giallorosso Giuliano Taccola, a 26 anni, durante una trasferta a Cagliari, nel ’69?».

Ma secondo lei perché ancora adesso nessuno parlerebbe? Ormai sono – siete – tutti uomini di sessant’anni…
«Quelli che stanno ancora nel calcio non vogliono esporsi, hanno paura di rimanere tagliati fuori dal giro. Sono tutti legati a un sistema, non vogliono perdere i loro privilegi, andare in tv, e così via. Prenda mio fratello: è stato trattato malissimo dall’Inter, l’hanno cacciato via in una maniera orrenda e gli hanno perfino tolto la tessera onoraria per entrare a San Siro, ma lui ha lo stesso paura di inimicarsi i dirigenti nerazzurri e ne parla sempre benissimo in tv. Mariolino Corso, uno che pure ha avuto gravi problemi cardiaci proprio per quelle pasticchette, va in giro a dire che non mi conosce nemmeno. Anche Angelillo, che è stato malissimo al cuore, non vuole dire niente: sa, lui lavora ancora come osservatore per l’Inter. A parlare di quegli anni sono solo i parenti di chi se n’è andato, come Gabriella Beatrice o Alessio Saltutti, il figlio di Nello. È con loro che, grazie all’avvocato della signora Beatrice, Odo Lombardo, ora sta nascendo un’associazione di vittime del doping nel calcio».

Certo, se un grande campione come suo fratello fosse dalla vostra parte, la vostra battaglia avrebbe un testimonial straordinario…
«Per dirla chiaramente, Sandro non ha le palle per fare una cosa così».

E oggi secondo lei il doping c’è ancora?
«Sì, soprattutto nei campionati dilettanti, dove non esistono controlli: lì si bombano come bestie. Quello che più mi fa male però sono i ragazzini…».

I ragazzini?
«Ormai iniziano a dare pillole e beveroni a partire dai 14-15 anni. Io lavoro con la squadra della Borghesiana, a Roma, dove gioca anche mio figlio Michele, e dico sempre ai ragazzi di stare attenti anche al tè caldo, se non sanno cosa c’è dentro. Ho fatto anche una deposizione per il tribunale dei minori di Milano: stanno arrivando decine di denunce di padri e madri i cui figli prendono roba strana, magari corrono come dei matti in campo e poi si addormentano sul banco il giorno dopo, a scuola. Ecco, è per loro che io sto tirando fuori tutto».

26
Giu
10

Prandelli in Nazionale, ma prima bisogna rimettere a posto le cose e condannare i veri colpevoli di Calciopoli

© Foto REUTERS

TORINO, 26 giugno – Il fallo di mani di Zauri e l’er­rore dell’arbitro Rosetti, che non lo espel­le e non assegna il rigore alla Fiorentina nell’ormai nota sfida dell’Olimpico con­tro la Lazio del 22 maggio 2005, non han­no scatenato soltanto la rabbia dei diri­genti e dei tifosi viola, ma hanno creato un mezzo terremoto anche in ambito fe­derale. Dopo le intercettazioni tra Ber­gamo e Rosetti, in cui l’ex designatore massacra l’arbitro («E’ stato il peggiore sbaglio del campionato») e quella tra Va­lentini e Mazzini, in cui i due dirigenti se la prendono con Lippi per aver ester­nato le sue impressioni su quei fatti, ecco che dal mare magnum delle telefonate spunta anche quella tra gli allora vice presidenti della Federcalcio, Giancarlo Abete e Innocenzo Mazzini, il primo ora al vertice federale, sotto tiro per il falli­mento in Sudafrica e per la lentezza con cui si muove la giustizia sportiva su Cal­ciopoli 2, il secondo squalificato per cin­que anni con la proposta di radiazione che proprio Abete dovrà decidere se dare.

NEI GUAI – «Questo imbecille di Rosetti» l’incipit di Mazzini tanto per comprende­re il clima della telefonata. «Con quello che ha fatto adesso siamo nei casini…» ri­sponde Abete. «Ma si va a chiedere a Giannichedda? » sottolinea rabbioso il primo. «Vai dal giocatore (Zauri, ndr) e prendilo a brutto muso:“se mi fai fesso ti rovino per i prossimi trent’anni”… » la so­luzione prospettata dal secondo. «Datti una regolata tra il primo e il secondo tem­po… Bergamo era distrutto, mi hanno te­lefonato Carraro, Lippi, il sindaco di Fi­renze » spiega un furioso Mazzini. «E’ un problema per i motivi che possiamo facil­mente comprendere… – concorda Abete -Io non sono andato allo stadio per oppor­tunità. Adesso è difficile spiegarlo e con­vicere le persone».

QUESITI – A questo punto sorge sporta­nea una domanda, la stessa che si è fat­ta la difesa di Moggi: perché ai due vice­presidenti sta così a cuore le sorti della Fiorentina, che si salverà dalla retroces­sione soltanto la domenica successiva, ul­tima di campionato, vincendo 3-0 contro il Brescia? La risposta arriva dall’accusa: il tutto rientra in quella che viene defini­ta “operazione salvataggio Fiorentina”. I Della Valle vengono presentati come «neofiti dell’ambiente e animati dal pro­posito di sovvertire lo status quo» (appog­giando la candidatura a presidente Figc di Abete al posto di Carraro e ostacolan­do la nomina di Galliani a numero uno della Lega) per poi decidere, visto il ri­schio di B, di allinearsi al “sistema” e ap­poggiare il patto della staffetta tra Carra­ro e Abete. Ma se davvero fosse esistita questa spinta pro viola, sostengono i lega­li di Moggi, Abete ne era a conoscenza, al­meno secondo quanto si evince dalla te­lefonata con Mazzini. Nello stesso tempo, visto che gli errori arbitrali contro la Fio­rentina continuano, sembra che questa spinta non abbia effetti. Le conseguenze, invece, della telefonata tra Abete e Maz­zini si avvertiranno in via Allegri.

23
Giu
10

Quanto dovremo aspettare per vedere l’Inter in B e Moratti radiato?

Calciopoli 2 ha mosso i pri­mi passi e già rischia di finire nelle sabbie mobili. Se, nell’estate 2006, i giudici si mossero con estrema cele­rità per emettere sentenze e condan­nare i club, senza esaminare tutte le prove come emerge dalle intercetta­zioni che i legali di Luciano Moggi sono riusciti a far acquisire al pro­cesso di Napoli, adesso invece il pro­curatore Stefano Palazzi e il suo staff di 007 attendono la trascrizione degli audio delle telefonate prima di procedere con gli interrogatori. Po­trebbero però dover aspettare parec­chio perché il perito del tribunale di Napoli, Carlo Porto, che avrebbe do­vuto finire il lavoro di sbobinamento a metà luglio, ha chiesto una proro­ga fino al 1° ottobre, quando ripren­deranno le udienze. Questo significa bloccare le indagini della procura fe­derale per altri tre mesi e allungare a dismisura i tempi del processo sportivo perché in Federcalcio fanno sapere che, senza quelle trascrizioni, l’inchiesta resterà ferma.

INDIPENDENZA – In realtà Palazzi può procedere in maniera autonoma perché sono già in suo possesso gli audio delle intercettazioni. In questo modo non si limiterebbe a esamina­re le telefonate scelte dai legali di Moggi o dai pm, che arriveranno dal tribunale di Napoli, avendo di fatto tutti gli elementi per fare chiarezza su quello che veramente accadde nel­la stagione 2004-05, nel nome ovvia­mente dell’indipendenza della giu­stizia sportiva.

RIABILITAZIONE – Ritardare le in­dagini e il processo sportivo su Cal­ciopoli 2 significa anche far slittare le decisioni in merito allo scudetto 2005-06, assegnato all’Inter dall’al­lora commissario straordinario della Federcalcio Guido Rossi. Alla luce delle intercettazioni che coinvolgono la società nerazzurra e quindi il pre­sidente Massimo Moratti, la Juven­tus sta portando avanti la battaglia per la revisione di Calciopoli e per la non assegnazione di quello scudetto perché anche i nerazzurri non avreb­be quei requisiti di lealtà richiesti. C’è quindi bisogno di azione e non di immobilismo: per carità, i reati sono ormai prescritti e soltanto la presen­za di nuove prove potrebbe riaprire il processo sportivo, ma constatare che l’illecito sportivo coinvolgeva tanti altri club servirebbe per riscrivere la storia di quelle stagioni e vedere Cal­ciopoli in un’altra prospettiva. Alla Juventus la serie B non sarebbe tol­ta, ma per la società bianconera sa­rebbe una vittoria morale e una ria­biltazione comunque significativa.

IMBARAZZO – Intanto stanno spun­tando altre intercettazioni che coin­volgono i vertici federali. Per la pri­ma volta emerge il nome di Giancar­lo Abete, allora vicepresidente (il nu­mero uno era Franco Carraro): in un colloquio con l’altro vicepresidente, Innocenzo Mazzini, scherza sulla sconfitta ai rigori del Milan nella fi­nale di Champions League a Istan­bul contro il Liverpool. «A Silvio ( Berlusconi) è un periodo che gli di­ce sfiga…», sorride Abete. E continua: «Il portiere polacco ha qualche in­flusso più in alto… L’antidoping? A chi si reggeva in piedi, erano tutti a terra». Poi, i due ritornano seri e par­lano delle convocazioni del ct Mar­cello Lippi (sì a Cassano, no a Totti).

In un’altra telefonata Mazzini si la­menta con Antonello Valentini, allo­ra capo ufficio stampa della Feder­calcio, per alcune dichiarazioni di Lippi dopo Lazio-Fiorentina, viziata dal mani di Zauri. C’è poi una terza intercettazione in cui persone non tesserate si mettono a discutere di griglie con l’pex designatore arbitra­le Paolo Bergamo. Per carità, si trat­ta di telefonate che non hanno rile­vanza a livello penale, sono più che altro di colore. Sembra tuttavia che ce ne siano altre (una trentina), con­siderate di ben altro spessore, alme­no dal punto di vista sportivo: riguar­derebbero un presidente di un club di A, finora mai convolto nelle inter­cettazioni, e nuovamente i vertici fe­derali. E potrebbero creare non poco imbarazzo.

21
Giu
10

Tutti contro Lippi e se invece…..!!

Tutti contro Lippi e se invece…..!!

 

 

Neanche è iniziato questo Mondiale, poiché le partite vere devono ancora giocarsi e già come al solito, tutti i sessanta milioni di Commissari Tecnici che ha l’Italia sono pronti a sputare veleno sulle prestazioni degli azzurri, anzi hanno iniziato prima del solito a sentenziare!

Se qualcuno fosse stato in questi anni meno allergico alla lettura, e avesse dato un’occhiatina a “Il gioco delle idee” di Marcello Lippi, ora tutto sarebbe più chiaro per chi di calcio ne mastica poco. Ciò che conta in una squadra più d’ogni altra cosa è il gruppo e la coesione, mentre di grandi campioni se ne può fare a meno, perché hanno l’attitudine a far la prima donna e Lippi è allergico a certe sceneggiate, forse ancora non è stato capito?

Ancora si blatera di nonno Totti, con una caviglia disastrosa e da parecchi anni a mezzo servizio, quindi metterlo in campo sarebbe un azzardo. Si evoca ancora Cassano e Balotelli, ma rischiare delle mattane e delle uscite da cartellino rosso dal campo non fa per noi, meglio di no grazie! Ci stanno pensando le altre nazioni a fare pessime figure nello stile, cominciando dalla Francia e il turpiloquio contro il C. T. oppure le storie di prostituzione minorile in cui è stato coinvolto Ribery che non è più lo stesso. La Germania non ha brillato, l’Inghilterra fa il paio, la Spagna sonnecchia e perché allora buttare la croce addosso proprio agli azzurri senza dargli almeno un’opportunità? Dopotutto Lippi ha dimostrato sempre di saper vincere e convincere a modo suo, non merita forse più rispetto e fiducia?

Nelle partite materasso gli azzurri non hanno mai reso molto, mentre sotto pressione rendono di più e poi prima di stigmatizzarli, lasciamoli giocare fino in fondo il girone almeno.

Non è questo il modo di sostenere l’Italia che difende il titolo!

Dov’è il tifo? Dov’è la passione italiana per il calcio?

Allora fino a giovedì almeno, cerchiamo di ritrovare un cuore azzurro!

Simona Aiuti




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